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I

 

Floriano De Santi, I mondi impossibili

I.

I pittori del fantastico e del visionario - ci ricorda Giuliano Briganti - giocano sopratutto sullo spiazzamento del senso, sulla dislocazione percettiva dell'immagine e sulla sua significazione complessiva. A questi meccanismi del dépaysement systématique del nucleo narrativo fa riferimento spesso Daniele Montis, anche se la sua pulsione immaginativa ha sempre un valore decisivo di determinazione pittorica e una necessità di compiuta definizione disegnativa. Egli non è un surrealista che ci rapisce in mondi notturni.

E', al contrario, un costruttore di universi impossibili che nei suoi dipinti e nelle sue opere su carta rappresenta con una particolare concentrazione psichica, tanto da indurci al parallelo con le ipotesi metafisiche del racconto di Borges: Tlön, Uqbar Orbis Tertius.

Nella tavola Il tunnel di bassa marea degli anni '90 si vede al centro del quadro un antro interrotto da una lunga serie di scalini. Esso corre verso un punto di indefinita oscurità, che puo' diventare a seconda delle relazioni, Zenit, Nadir o traccia di allontanamento. Se si guardano a destra e a sinistra le pareti dell'antro notiamo un paesaggio lunare in orizzontale. Le aperture a forma d'arco sono effigiate in modo tale da adattarsi alla posizione diritta del paesaggio marino. In questo contesto il punto di fuga delle pareti dell'antro diventa icona di infinito vuoto, in cui un sapiente sistema illusionistico di textures e falsi piani può dare scacco all'apparente razionalita' della terza dimensione. 

Tutta l'attrezzatura della ragione di Montis e'-si direbbe- sotto il segno di Saturno, prodotto di una "lingua" il cui fulcro e' la coscienza di una melancholia dei significati, talvolta manifestatamente allusiva all'enigma. Come Adamo diventa malinconico dopo aver morso la mela nel Paradiso Terrestre, cosi' il furore saturnino dell'artista sassarese sprofonda nell'ossessione, nella licantropia o nella sinistra follia degli eroi maledetti da qualche potenza divina: Ercole, Aiace, Bellerofonte.

In olii quali Le porte dei venti, I cancelli del sogno, Psiche dinanzi al palazzo di Eros ed Icaro, chi vuole conoscere la luce della forma, deve attraversare l'ombra: sostare sull'orlo di un precipizio o camminare tra due voragini ugualmente tremende che ci introducono nel cuore della metamorfosi.

 

II.

La presenza degli animali nei lavori grafici e pittorici di Montis, è costante, dai primi inchiostri dell' '80 sino agli ultimi dipinti e incisioni. Nel bestiarium montisiano gli animali vengono caricati di comportamenti umani e gli uomini "animalizzati" di capacita' ferine. L'aquila e il leone, il delfino e il cavallo, il drago e la polena vi appaiono molte volte e talora con un senso diverso. Proselite della tradizione romantica di Gustave Moreau e di Antoine Wiertz, egli traccia una libera antropologia dell'angoscia, del limite, dell'irrealta', della ripetizione ossessiva e senza oblio. Tutte le passioni estreme lo minacciano: l'attesa e le torture dell'antitesi; la freddezza di chi abita tra i ghiacci polari e non riesce a provare nessun sentimento terrestre; il furore della "follia" architettonica de
 La via di Gerusalemme, le impure aspirazioni e la bile nera del Duca di Milano ne
 La grotta di Prospero, il terrore e la fantasticheria senza limiti de Il maestro d'ascia, la gorgone e i pegasi nani.

La "zoologia visionaria" di Montis ha un'ascendenza remota, ma certa, nell'opera di Hieronimus Bosch. In effetti molto della sua ricerca figurativa ha, sul versante dell'esecuzione tecnica e nell'impianto costruttivo, un riferimento costante nella tradizione della pittura nordica. Nei dipinti 
Il giardino nascosto
e Il serpente di mare la luce bagna e dissolve le cose: le forme si sciolgono in una liquidita' immensa; l'Es dell'artista si trasforma, si moltiplica, diventa un oscuro nemico che ci assale contemporaneamente da ogni parte. In essi se il tempo- aion - si ripete, una mano invisibile li cancella per sempre dalla nostra memoria: non c'e' ricordo ne' del passato ne' del futuro. Se ci volgiamo verso il passato scorgiamo appena un segno subito abolito dalla dimenticanza; e se ci volgiamo verso il futuro, ecco venirci incontro di nuovo lo stesso passato, defunto prima di nascere, cancellato dalla monotona mano del tempo- chronos.

Ma si sa e' proprio della ragione inventare le favole "senza tempo". La cui morale, nel caso di Montis, e' implicita alla sua medesima favolosita': una realta' surreale, data per tavole sinottiche, a meta' tra la storia completa e la singola scena, la' dove essa, al limite superiore della sua parabola (e in tal senso si veda la serie de Argentiera: il faro e il vaporetto della posta), perde la sua radicalita' mnemonica.

Del resto, il linguaggio implica una memoria che Montis sostituisce con una metaforica e paradossale presenza assoluta, in cui e' allo stato nascente- nel deracinement oggettivo razionalmente perseguito con tutti i mezzi offerti dalla perizia tecnica della pittura e dell'incisione-una finalita' risultante dall'inclinarsi parabolico della curva significativa verso un al di la' affabulante, che non ha altro intendimento se non in questo proporsi gravitazionale della propria continuita' semantica, insomma in una finalita' iconica senza fine.

Floriano De Santi

 

 

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