Urbino-Un
paio di anni fa ho incontrato Daniele Montis con la curiosità e
l'attrezzatura del pittore: veniva a Urbino per sue ragioni misteriose.
Non so chi l'avesse indirizzato nella nostra città. Ma so ora più che
mai che i suoi perché e le sue aspettative erano dei programmi, delle
decisioni: veniva come un pellegrino mosso da antiche voci.
Il pittore
di Sassari era alla ricerca di un nuovo mondo, di una nuova forma
espressiva. Sentiva dentro di sé un fuoco acceso che doveva
ricollocarsi al di là dei colori e dei sentimenti di sempre: aveva nel
cuore storie ancestrali del momìndo sardo, mitologie controverse e
popolari, favole mediterranee, sopratutto il desiderio di raccontare lo
stupore del paesaggio e delle figure che in esso vivevano audacemente.
L'artista sardo sembrava immerso in un sistema permanente di stupore e
di meraviglia, dolcemente succube dei colori accesissimi ed
appassionanti, come visioni di antiche vetrate di cattedrali o di
castelli fantastici, con giardini, cancelli, torri, montagne, porte
sempre nel contesto del mare spumeggiante, trasognato, allegorico.
Oggi, Daniele Montis presenta questo suo ventennale mondo pittorico in
una personale nella Sala del Maniscalcoe nel bel
Catalogo con un testo critico di Floriano De Santi (Quattroventi 2002).
Ogni sua opera pittorica è un racconto, una intelaiatura poetica viva,
dove perdersi, dove rincorrere particolari infiniti. Ma alla prima
illustrazione va aggiunta la novità, quasi un cinegiornale della sua
nuova produzione Urbinate.
Ho trovato di recente Daniele Montis nel laboratorio della Stamperia
Posterula alle prese con una lastra gigantesca, quasi la possibilità
massima per i torchi guidati da Vincenzo Tiboni. Successivamente ho visto un'altra lastra di grande formato: serviva
anche questa per studiare, capire e produrre calcografia.
A quarant'anni
Montis era entrato nell'officina del calcografo, nella stanza impervia
dell'incisione: ha conosciuto un'arte nuova ed ha realizzato un opera
esplosiva, meglio almeno due grandi calco, di fascino e d'incontinenza
espressiva: "La via di Gerusalemme" e "La grotta di
Prospero" che presenta al Maniscalco.
Montis ha un disegno immediato, lieve, gradevole, di segno breve aereo,
con il marchio delle scale e del labirinto, in un susseguirsi estenuante
e e descrittivo di immagini, fabulatore senza fine. "La via di
Gerusalemme" vorrebbe interpretare il gotico e le leggende
medievali, "La grotta di Prospero" propone il barocco e temi
shakespiriani della "Tempesta", sempre meraviglia e aneliti di
trascendenza. In definitiva, una mostra inconsueta di chi si pone
nell'avventura dell'incisione.
Gastone Mosci